
Negli ultimi anni, il policy making sta attraversando una trasformazione radicale. Di fronte alla crescente complessità sociale e alla perdita di fiducia verso le istituzioni, emerge un bisogno urgente di nuove forme di partecipazione e governance collaborativa. In questo contesto, l’approccio dell’Art of Hosting si sta rivelando uno strumento potente per innovare il modo in cui le politiche pubbliche vengono co-create, non solo pensate.
Anche a livello europeo, la Commissione Europea ha iniziato a sperimentare questo approccio con risultati significativi, soprattutto in ambito di partecipazione multi-stakeholder, policy design collaborativo e apprendimento sistemico.
Cos’è l’Art of Hosting?
L’Art of Hosting and Harvesting Conversations that Matter (AoH) è un insieme di pratiche, approcci e posture che mirano a ospitare conversazioni significative in contesti collettivi. Nasce dalla convinzione che le soluzioni più intelligenti emergono quando le persone sono messe in grado di ascoltarsi davvero, pensare insieme e contribuire da prospettive diverse.
Lontano da una mera “facilitazione di riunioni”, l’AoH porta con sé una cultura di leadership distribuita, ascolto generativo, e progettazione consapevole degli spazi di dialogo. Quando applicato al policy making, permette di attivare intelligenza collettiva per generare politiche più radicate nella realtà.
Perché il policy making ha bisogno di conversazioni migliori
Tradizionalmente, i processi di policy making sono stati dominati da esperti, tecnocrati e approcci top-down. Sebbene questo approccio garantisca rigore tecnico, spesso manca di connessione con le reali esperienze dei cittadini, generando politiche disconnesse o poco efficaci.
L’Art of Hosting offre strumenti per invertire questa tendenza:
- Accoglie la complessità: AoH non cerca di semplificare il problema, ma crea spazi per esplorarlo in profondità da più prospettive.
- Dà voce ai silenzi: attiva processi inclusivi che mettono al centro anche chi solitamente è ai margini del dibattito.
- Genera ownership: i partecipanti diventano co-autori delle soluzioni, con maggiore senso di responsabilità.
Esempi dall’Unione Europea
1. Lab for Change – DG HR, Commissione Europea
Dal 2013, la Direzione Generale delle Risorse Umane ha avviato un processo interno di innovazione culturale attraverso pratiche ispirate all’Art of Hosting. Attraverso sessioni partecipative, team cross-funzionali e cerchi di dialogo, si è lavorato per:
- sviluppare una leadership più orizzontale,
- attivare conversazioni autentiche tra livelli gerarchici,
- facilitare il cambiamento organizzativo come processo condiviso.
Questo ha permesso di superare resistenze culturali e radicare un nuovo modo di prendere decisioni in contesti complessi.
2. Social Innovation Europe (SIE)
Iniziativa della Commissione per promuovere l’innovazione sociale, SIE ha utilizzato metodi partecipativi ispirati ad AoH per progettare eventi multi-attore in tutta Europa. In questi spazi si sono incontrati policymaker, imprenditori sociali, accademici e cittadini per:
- generare nuove idee di policy bottom-up,
- creare connessioni trasversali tra settori,
- facilitare l’apprendimento reciproco tra pratiche locali e politiche europee.
3. European Migration Policy Dialogue
In un momento di grande tensione sul tema migratorio, sono stati sperimentati formati di dialogo multi-stakeholder facilitati (in stile AoH) per raccogliere prospettive da ONG, governi locali, agenzie europee e comunità migranti. L’obiettivo non era solo informare le policy, ma anche riumanizzare il dibattito, generare ascolto profondo e proporre soluzioni ancorate al vissuto reale.
Quali pratiche AoH trovano applicazione nel policy making?
- World Café per esplorare scenari e idee in gruppi grandi.
- Circle practice per attivare un ascolto profondo tra stakeholder.
- Pro Action Café per sviluppare idee politiche in modo collaborativo.
- Harvesting visivo e narrativo per raccogliere e rendere visibile l’intelligenza del gruppo.
- Hosting team come nucleo progettuale distribuito.
Portare l’Art of Hosting nel policy making non significa “fare facilitazione”, ma ospitare processi democratici più vivi, più radicati e più generativi. È un cambio di paradigma: dalle policy fatte per le persone, alle policy co-create con le persone.
Come formatrice e facilitatrice, credo che oggi non sia più sufficiente “consultare” i cittadini: occorre creare spazi strutturati di co-creazione, in cui le politiche possano nascere dal dialogo, non solo dalla tecnica.
Il futuro della democrazia si gioca anche (e soprattutto) sulla qualità delle conversazioni che sappiamo ospitare.