
La protagonista di questa crowdintervista è Sofia Tapinassi, fiorentina, appassionata di musica e arte nonché diplomata al Conservatorio di Firenze. Sofia è la promotrice della campagna di crowdfunding We left the camp singing su Kickstarter, che si è conclusa in overfunding.
Ho rivolto a Sofia Tapinassi alcune domande.
Come è nata l’idea del progetto?
Il progetto musicale e documentaristico “We left the camp singing” (in italiano “Lasciammo il campo cantando”) nasce dalla sintesi di due dei miei principali interessi: la musica e la storia contemporanea. Come musicista ho sempre trovato interessante dedicarmi alla riscoperta di autori poco eseguiti, studiandone le composizioni pianistiche e approfondendo le loro vicende biografiche.
Così mi sono dedicata all’incredibile storia dei musicisti del campo di concentramento di Theresienstadt, che furono incoraggiati ad esibirsi e a comporre dagli stessi nazisti che sul campo facevano propaganda mediatica. Ho voluto provare a narrare quello che ho imparato attraverso un documentario che contenesse anche delle testimonianze di sopravvissuti che, con grande emozione, ho intervistato personalmente. Parallelamente ho continuato il mio studio al pianoforte di alcune composizioni scritte nel campo dai validissimi compositori Gideon Klein, Pavel Haas e Hans Winterberg. Di questi solo Winterberg è sopravvissuto a Theresienstadt mentre gli altri due, come molti altri, hanno perso la vita in seguito alla loro deportazione ad Auschwitz.
Perché hai scelto il crowdfunding? E perché la piattaforma Kickstarter?
Chiaramente la produzione di un documentario implica delle spese importanti tra viaggi, attrezzatura, diritti d’uso di documentazione fotografica ecc.
I primi aiuti sono arrivati da amici e parenti, senza i quali sarebbe stato difficilissimo iniziare. Nel tentativo di trovare vere e proprie sponsorizzazioni ho provato a contattare varie fondazioni e realtà sul territorio italiano trovando però solo la disponibilità di Yamaha Italian Branch, che ringrazio moltissimo. Le mille altre porte chiuse in Italia mi hanno portata verso l’estero: ho con grande gioia iniziato una collaborazione con la European Foundation for Democracy e mi sono poi decisa a direzionare la mia nascente campagna di crowdfunding interamente fuori dall’Italia, scegliendo di impostarla esclusivamente in inglese e scegliendo come piattaforma Kickstarter. La mia scelta è ricaduta su quest’ultima perché mi sembrava la più adatta per ospitare un progetto artistico.
Quale è stata la provenienza principale dei sostenitori?
Direi che la maggior parte dei miei sostenitori sono americani, ma ho anche ricevuto donazioni importanti da inglesi e tedeschi. Per lo più si tratta di persone che per loro interesse o legami personali, seguono musei, film e opere letterarie che riguardano la tematica della Shoah.
Oltre agli appassionati c’è stato un importante aiuto da chi lavora attivamente per aiutare i sopravvissuti dei campi di concentramento: il principale produttore del documentario è la fondazione “The Blue Card”, nata in Germania per cercare di tutelare ebrei tedeschi dalle leggi antisemite, poi trasferitasi negli Stati Uniti. Quando ho ricevuto la loro email che annunciava la volontà di sponsorizzare il mio progetto non ci potevo credere!
Cosa ha funzionato nella campagna?
Credo che la cosa più importante nel lanciare una campagna di crowdfunding sia la preparazione. Non si può assolutamente improvvisare: tutto deve essere ben definito, a partire dal messaggio che la campagna vuole trasmettere. Identificato quello e studiato il potenziale pubblico di interesse, la mia strategia è consistita nello sviluppo di una comunità che si appassionasse al progetto sui principali social network, con particolare enfasi su Facebook. Questo processo ha richiesto un investimento sia di tempo che di risorse, specialmente per preparare dei contenuti che coinvolgessero le persone nella causa a tal punto da voler partecipare al finanziamento del progetto.
C’è qualcosa che miglioreresti?
Sarebbe bello interagire di più con ogni singolo sostenitore, perché il bello del crowdfunding è che si costruisce qualcosa insieme.
La campagna inoltre non è ancora finita, perché una volta raccolti i fondi bisogna sempre aggiornare i sostenitori sugli ultimi sviluppi del progetto. Spero poi che il documentario sia all’altezza delle aspettative di tutto coloro che hanno riposto la loro fiducia in me.
C’è qualche riflessione che vorresti condividere?
Vorrei rivolgermi soprattutto ai miei coetanei che sognano di portare avanti i loro progetti personali. Alla luce della mia personale esperienza vorrei dir loro di non scoraggiarsi se non riescono ad essere ascoltati come meriterebbero quando ricercano dei fondi. Il crowdfunding può essere uno strumento meraviglioso se accompagnato da una forte passione divulgativa portata avanti con determinazione e costanza nella comunicazione.