A seguito della sospensione dell’account di Trump da parte di Facebook è tornato di grande attualità il dibattito sul potere discrezionale delle piattaforme online. Negli Stati Uniti la Sezione 230 del Communication Decency Act (1996) attribuisce a queste aziende un grande potere di autoregolamentazione e le solleva dalla responsabilità per i contenuti pubblicati da terzi, con delle limitazioni che sono sostanzialmente quelle previste dal FOSTA (Fight Online Sex Trafficking Act) e dal SESTA (Stop Enabling Sex Traffickers Act).
Il passaggio chiave, conosciuto anche come “le 26 parole che hanno creato Internet” recita testualmente “No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider”. Uno degli aspetti che vengono sollevati nelle controversie è “devi scegliere se essere piattaforma o editore”. Il punto è che tale distinzione sembrerebbe legalmente irrilevante in quanto non contenuta nella sopra citata Sezione 230 del CDA mentre l’obiezione spesso sollevata è la scelta tra essere editore e pertanto secondo il Primo Emendamento avere libertà di espressione e quindi di dettare la linea oppure piattaforma protetta dal disposto della Sezione 230 del CDA che la solleva dalla responsabilità per i contenuti pubblicati da terzi. A questo punto una interpretazione è che le cose non siano in contrasto ma possano coesistere entrambe e pertanto la Sezione 230 non implicherebbe la neutralità delle piattaforme.
Da entrambi i fronti, Repubblicano e Democratico, vengono comunque istanze per riformare, con diverse motivazioni, la Sezione 230 del CDA. Il dibattito è aperto e al Congresso stanno circolando una serie di proposte, tra cui EARNT IT (Eliminating Abusive and Rampant Neglect of IOnteractive Technologies Act) Act e PACT (Platform Accountability and Consumer Transparency) Act.