Fondamenti di crowdfunding

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Cos’è il crowdfuding?

Il crowdfunding (da crowd = folla, funding = finanziamento), è un processo di finanziamento collettivo proveniente dal basso, tramite cui più persone contribuiscono con somme di denaro di varia entità, attraverso portali online (piattaforme), a un progetto o ad un’iniziativa in cui credono e di cui si fanno sostenitori.Il crowdfunding non è semplicemente una forma di finanziamento alternativa alla quale ricorrere in caso di difficoltà nel trovare finanziamenti. I media tendono a porre l’accento sul “funding” mentre la parte più importante è proprio la “crowd”: senza la crowd il crowdfunding non funziona, è tutta questione di engagement, coinvolgimento, partecipazione della componente collettiva al proprio progetto. Il capitale sociale e relazionale del crowdfunder è il capitale che conta maggiormente: non si tratta solo di numeri, quello che conta sono i legami di fiducia tra le persone, quei legami che ci spingono ad appoggiare un progetto, a farsi portavoce per esso e a trasmetterlo con la stessa fiducia ai nostri contatti.

Un po’ di storia

Il crowdfunding affonda le proprie radici nel concetto di “microfinanza”, ovvero la nozione secondo la quale piccole somme, quando aggregate, fanno la differenza, di cui l’Irish Loan Fund di Jonathan Swift, e la Grameen Bank del Dr. Yunus sono antenati e pionieri.

Tra gli esempi precursori del crowdfunding così come oggi lo conosciamo troviamo l’iniziativa di Andrea Memmo nel 1775 per il finanziamento del progetto di costruzione di Prato della Valle a Padova, alla quale risposero 800 cittadini padovani, e quella dell’editore Joseph Pulitzer nel 1885 per la costruzione del piedistallo della Statua della Libertà a New York alla quale risposero 120.000 cittadini donando meno di un dollaro a testa evitando così la figuraccia all’arrivo della statua donata dai francesi.

Passando ai giorni nostri, nel 1997 la rock band britannica Marllion ha finanziato il suo tour negli Stati Uniti attraverso una campagna online raccogliendo 60.000 dollari tra i suoi fan.

Tra le prime piattaforme così come le consociamo oggi ricordiamo JustGiving, piattaforma di raccolta fondi online dedicata alle charity nata nel 2000 a Londra e l’americana artistShare, piattaforma dedicata al mondo della musica fondata nel 2001.

Il 2005 è l’anno in cui viene lanciata Kiva, la prima piattaforma online di microcredito per progetti in Paesi in via di Sviluppo. Kiva il 22 Giugno 2017 ha raggiunto il traguardo di 1 miliardo di dollari in prestiti. Nel 2006 negli Stati Uniti nasce Prosper, prima piattaforma di presiti P2P e nello stesso anno Michael Sullivan, fondatore di FundaVlog, conia il termine crowdfunding, e Yunus con la sua Grameen Bank riceve il Premio Nobel per la pace.

Nel 2008 vedono la luce peerbackers e Indiegogo, quest’ultima uno dei principali player sul mercato del crowdfunding reward-based insieme a kickstarter, fondata nel 2009.

Il Jobs Act, firmato da Obama nel 2012, introduce l’equity crowdfuding e negli Stati Uniti nasce Fundable, la prima piattaforma di Equity crowdfunding. In Italia, l’equity crowdfuding è stato introdotto dal Decreto Crescita Bis (DL 18 ottobre 2012, n. 179 conv. con L. 221/2012) come strumento di finanziamento per le startup innovative e con delibera del 26 giugno 2013 n. 18592 la Consob ha emanato la prima regolamentazione di dettaglio a livello mondiale.

Tipologie di crowdfunding

Nell’ambito del crowdfunding si distinguono le seguenti tipologie principali:

– Donation-based crowdfunding: donazioni per associazioni no profit , progetti filantropici o sponsorizzazioni;

– Reward-based crowdfunding: donazioni per progetti sociali o creativi con ricompense non monetarie su diversi livelli o prevendita. In ambito reward-based rientrano il crowdfunding civico e il crowdfunding politico;

– Lending-based crowdfunding: microfinanza e prestiti peer to peer;

– Equity-based: si sottoscrivono quote di una società, inizialmente solo di startup innovative ex decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito con legge 221/2012 e ora anche alle PMI innovative introdotte dal decreto legge 24 gennaio 2015, n. 3.

Di seguito farò riferimento al modello reward-based.

Elementi di una campagna reward-based

Gli elementi fondamentali di una campagna di crowdfuding sono 4:

1. L’obiettivo della campagna – perché la facciamo e cosa vogliamo ottenere, quale è il nostro progetto

2. La presentazione – storytelling e video

3. Le ricompense

4. Last but not least, la community

Una delle false credenze diffuse è che il successo di una campagna di crowdfunding dipenda dalla piattaforma utilizzata. La realtà è che la campagna dipende dalla community che il progettista è riuscito a creare e mobilitare. La piattaforma non promuove attivamente i progetti (i progetti in evidenza nelle newsletter sono poche decine su migliaia) e la possibilità di un buon risultato non dipende da quante persone frequentano la piattaforma. Va infatti ricordato che le persone non fanno un giro sulle piattaforme di crowdfunding come se fossero siti di e-commerce. Siamo noi che dobbiamo portare le persone sulla piattaforma.

Come definire l’obiettivo economico

“Mi serve X quindi chiedo X?” La brutta notizia è che non funziona così; la bella notizia è che si può imparare a definire correttamente l’obiettivo di una campagna. E’ innanzitutto necessario porsi alcune domande: Da quante persone è formata la mia community? In senso lato posso considerare come community l’insieme delle persone che posso raggiungere. All’interno di questo insieme generico posso anche individuare poi uno o più segmenti specifici di potenziali interessati alla mia campagna ma per l’economia del nostro esempio consideriamo una community target unica. Per quanto riguarda i social media e più in particolare per Facebook è da tenere presente che senza promozione a pagamento, solo una piccola percentuale dei fan di una pagina vedrà il post e ancora più bassa è quella relativa all’engagement. sulle campagne social e sulla conversione ci ritorneremo in una delle prossime pillole. E vi parlerò anche di qualche workaround per le piccole realtà che non hanno un budget. In questa sede rimaniamo su un orientamento generale. Consideriamo una community di 2000 persone: quelle che verranno raggiunte (senza riferimento ad una canale in particolare) sono tra il 10% e il 30%; ancora più bassa la percentuale di conversione in donazione che è tra il 5% e il 10%. Considerando una donazione media compresa tra 10 e 50 euro provate ora a fare due calcoli. Supponiamo di raggiungere il 20% della nostra community: la donazione totale che otterremo sarà tra un minimo compreso tra i 200 e i 1000 euro e un massimo tra 400 i 2000 euro. Facciamo un altro esempio. Possiamo contare su una community di 10.000,00 persone. 2.000,00 saranno raggiunte dalla nostra campagna: considerando una percentuale di conversione tra il 5% il 10% avremo una donazione totale tra 1.000,00 e 2.000,00 con una donazione media di 10,00 euro e tra i 5.000,00 e i 10.000,00 con una donazione media di 50,00 euro. Detto ciò, in linea di massima, con un’estrema semplificazione è necessario considerare un obiettivo pari al 10% della nostra community, se vogliamo andare sicuri, soprattutto su una campagna “all or nothing”. Altro ragionamento potrebbe essere “metto un obiettivo più alto ma con schema flessibile”. In questo caso ci sono delle controindicazioni: un obiettivo alto a fronte di una bassa percentuale di donazioni in progress costituisce un ulteriore deterrente per i donatori, specie per quelli meno convinti, abbassando ulteriormente l’importo della raccolta totale. Se rientraste a casa mezz’ora prima della chiusura dei seggi per un referendum e leggeste che alle 19.00 l’affluenza era ben lontana dal raggiungimento del quorum andreste a votare lo stesso? Probabilmente no. Lo stesso comportamento lo osserverebbe il nostro potenziale donatore nei confronti della nostra campagna di crowdfunding.

“Prendi tutto” o “tutto o niente”

In base al modello di raccolta le piattaforme reward-based si distinguono in:

– “Prendi tutto” (“take it all” o “flexible funding”): anche se non si raggiunge il target della raccolta, le quote versate vanno comunque a sostegno del progetto;

– “Tutto o niente” (“all or nothing” o “fixed funding”): il progetto viene finanziato solo al raggiungimento dl target; in caso contrario gli importi versati vengono restituiti non addebitati.

Il modello flessibile viene spesso preferito ma va usato con cautela: cosa ne sarà dei fondi raccolti se non si raggiunge? O meglio: siccome il progettista li riceve, cosa ne farà? Questo ragionamento può minare il meccanismo della fiducia e pertanto è bene prevedere più livelli di realizzazione del progetto che possano giustificare la scelta di questa modalità.

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