
Durante un viaggio in Estonia ho avuto l’opportunità di visitare Telliskivi, un quartiere di Tallinn che fino a pochi anni fa era un’area industriale abbandonata. Oggi, quello stesso spazio è diventato un polo vitale di coworking, incubatori d’impresa, spazi culturali e creativi. È un esempio emblematico di come sia possibile trasformare il passato in futuro attraverso politiche urbane intelligenti e inclusive.
Camminando tra i vecchi capannoni riconvertiti, le pareti animate da street art e i locali pieni di giovani professionisti, ho avuto la sensazione che Telliskivi non fosse soltanto un luogo fisico, ma un vero ecosistema di innovazione e sostenibilità. La sua forza è nella capacità di coniugare tre dimensioni spesso trattate separatamente:
- Sostenibilità ambientale: invece di costruire nuovi edifici, si è scelto di recuperare strutture esistenti, riducendo consumo di suolo e impatto ambientale.
- Sostenibilità economica: la rigenerazione ha dato vita a nuove imprese, attratto investimenti e creato opportunità di lavoro.
- Sostenibilità sociale: gli spazi non sono chiusi o elitari, ma aperti alla comunità, favorendo inclusione, collaborazione e partecipazione.
Questo modello dimostra che la sostenibilità non deve essere intesa come un concetto astratto, ma come una strategia politica e urbana capace di incidere concretamente sulla qualità della vita dei cittadini.
Cosa possiamo imparare per l’Italia
Anche in Italia non mancano gli esempi di aree dismesse e spazi industriali vuoti. Da Nord a Sud, ogni città porta con sé un’eredità di fabbriche, magazzini e capannoni abbandonati che oggi rappresentano spesso simboli di degrado. Ma quei luoghi, se guardati con occhi diversi, possono trasformarsi in straordinarie opportunità di rinascita.
Seguendo l’esempio di Telliskivi, potremmo immaginare:
- Hub per start-up e innovazione sostenibile: spazi dedicati a imprese che vogliono sperimentare nuovi modelli di business green;
- centri culturali e creativi: luoghi dove la comunità possa incontrarsi, creare, scambiare idee.
- coworking diffusi: un modo per attrarre talenti e trattenere i giovani, riducendo la fuga di competenze.
- spazi pubblici rigenerati: che favoriscano eventi, incontri e momenti di comunità.
Perché ciò accada, serve una visione politica chiara e la volontà di mettere in campo strumenti concreti.
Azioni di policy concrete
Ecco alcune proposte operative che potrebbero rendere la rigenerazione urbana una priorità nazionale:
- Avviare programmi di mappatura e recupero delle aree dismesse, con obiettivi e tempistiche definite.
- Favorire partnership pubblico-private, per condividere rischi e opportunità tra amministrazioni, imprese e cittadini.
- Offrire incentivi fiscali e agevolazioni alle realtà che decidono di insediarsi in spazi rigenerati.
- Creare reti di eventi e innovazione per animare questi spazi, trasformandoli in veri motori di comunità e sviluppo.
Non si tratta di interventi impossibili o utopici. Al contrario, sono misure concrete che diverse città europee hanno già messo in campo, con risultati visibili e duraturi.
La lezione di Telliskivi è semplice e potente: il futuro non si costruisce solo partendo da zero, ma anche e soprattutto dal recupero intelligente di ciò che già abbiamo. Ogni spazio abbandonato è un potenziale laboratorio di innovazione, sostenibilità e comunità.
Un futuro che nasce dal passato
La sfida per l’Italia – e per molte altre realtà europee – è smettere di vedere questi luoghi come zavorre e iniziare a considerarli risorse strategiche. È una questione politica, certo, ma anche culturale: serve la capacità di immaginare diversamente i nostri spazi urbani.
E voi? Quali esempi di rigenerazione sostenibile avete visto nelle vostre città? E come immaginate la trasformazione degli spazi abbandonati nel futuro?